domenica 5 aprile 2020

Il Sinodo del cadavere: processo post mortem a carico di Papa Formoso (891-896)

Il 4 aprile di 1123 anni fa, Roma assistiva, probabilmente inorridita, ai torbidi eventi passati alla storia con il nome di "Concilio cadaverico", in cui il cadavere del defunto papa Formoso fu dissotterrato per essere "chiamato" a rispondere delle sue presunte colpe, dinanzi al neoeletto papa Stefano VI e agli esponenti del partito spoletino che ne avevano decretato l'elezione.
Una pratica così macabra e apparentemente disumana, trovava il suo fondamento "giuridico" in un'antica consuetudine delle popolazioni germaniche, per le quali non era scandalo ricorrere, in talune situazioni, a processi post-mortem nei confronti del cadavere di veniva chiamato in giudizio. Nell'evento di papa Formoso, vediamo così riemergere l'antica anima germanica, barbarica e pagana dei longobardi duchi di Spoleto.




 Concilio cadaverico, Jean-Paul Laurens (1870), Nantes, Musée des Beaux-Arts


«Il cadavere del papa, strappato alla tomba in cui riposava da otto mesi, fu vestito dei paludamenti pontifici, e deposto sopra un trono nella sala del concilio. L'avvocato di papa Stefano si alzò, si volse verso quella mummia orribile, al cui fianco sedeva un diacono tremante, che doveva fargli da difensore, propose le accuse; e il papa vivente, con furore insano, chiese al morto: "Perché, uomo ambizioso, hai tu usurpato la cattedra apostolica di Roma, tu che eri già vescovo di Porto?". L'avvocato di Formoso addusse qualcosa in sua difesa, sempre che l'orrore gli abbia permesso di parlare; il cadavere fu riconosciuto colpevole e condannato. Il sinodo sottoscrisse l'atto di deposizione, dannò il papa in eterno e decretò che tutti coloro ai quali egli aveva conferito gli ordini sacerdotali, dovessero essere ordinati di nuovo. I paramenti furono strappati di dosso alla mummia, le recisero le tre dita della mano destra con le quali i Latini sogliono benedire, e con grida barbariche, gettarono il cadavere fuori dall'aula: lo si trascinò per le vie, e, fra le urla della plebaglia, venne gettato nel Tevere.

(Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, tomo V, cap. V.)

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