sabato 5 ottobre 2019

Riflessioni sulla natura del tempo

Nell'ultima decade di settembre la mia linea del tempo ha compiuto 46 anni terrestri (46 Rivoluzioni della Terra intorno al Sole), e l'occasione mi ha dato lo spunto per alcune riflessioni personali sulla natura di una delle realtà più misteriose e sfuggenti, quella relativa al tempo.
Cos'è il tempo? Cosa ne determina il suo fluire, così come lo percepiamo?
In molti hanno provato a dare una definizione del tempo, che pare sfuggire ad una comprensione profonda e compiuta. L'ultimo in ordine di tempo a scrivere e riflettere sull'entità tempo è stato il fisico Carlo Rovelli, il quale afferma che le equazioni che descrivono il funzionamento dell'universo possono fare a meno del tempo, il quale quindi, in ultima istanza, non esiste, se non come una nostra percezione. Ma cos'altro sappiamo sulla natura di un aspetto così sfuggevole ma determinante per ognuno quale è il tempo? Se l'argomento suscita in voi curiosità ed interesse, prendetevi qualche minuto e seguitemi.



IL TEMPO SECONDO SANT'AGOSTINO DI IPPONA

Una bella descrizione della natura del tempo c'è l'ha data Sant'Agostino di Ippona, nelle sue Confessioni, riflessioni che risalgono alla fine del IV secolo d.C. 
Agostino scrive: "Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so". 
Dopo una serie di semplici ma efficaci riflessioni, Agostino conclude che il tempo è la misura interna alla coscienza, la percezione del succedersi dei fatti psichici dentro di noi. 
In sostanza noi viviamo in un eterno presente, in quanto il passato è il ricordo che conserviamo di un presente già vissuto, e il futuro è un "presente" concepito dall'immaginazione. 
Tutto ciò non è molto lontano da quanto afferma oggi Carlo Rovelli sulla natura del tempo, legata più a una nostra percezione soggettiva che non ad una sua esistenza oggettiva al di fuori della nostra percezione.


IL TEMPO RELATIVO DI EINSTEIN 

Il bagaglio di conoscenze che ci derivano dalla concezione del tempo illustrata agli inizi del XX secolo da Einstein, è utile a comprendere i meccanismi fondamentali che determinano non tanto la nostra percezione del tempo, quanto l'essenza di tale entità.
Einstein per primo ha compreso che il tempo non è una entità "assoluta", ma il suo scorrere è legato alla posizione e alla velocità con cui si muove un osservatore nello spazio rispetto ad un altro osservatore fermo (o che si muove a diversa velocità) in un altro punto dello spazio. Il tempo non è che una delle due parti della dimensione spazio-tempo. 

Per provare ad afferrare l'idea in maniera abbastanza intuitiva, possiamo immaginare che quando siamo "fermi" nello spazio ci stiamo in realtà "muovendo" "tutto" e soltanto nel "tempo"; mentre quando ci muoviamo nello spazio ci stiamo muovendo sia nello spazio che nel tempo. Se aumenta la nostra velocità nello spazio diminuisce quella nel tempo, se ci muoviamo alla velocità della luce il nostro movimento nel tempo è rallentato fin quasi a zero. Più aumenta la nostra velocità nello spazio, più rallenta la nostra velocità nel tempo, in quanto la dimensione all'interno della quale si consumano le nostre esistenze, è la dimensione dello spazio-tempo, la trama e il tessuto di cui è fatto il nostro universo. 
In questo senso qui diciamo che il tempo è relativo, e non è un'entità assoluta che scorre alla stessa maniera per tutti, ossia per qualunque osservatore posto in una qualunque regione dell'universo.


GLI EFFETTI DELLA MATERIA SULLA NATURA DEL TEMPO

Il già citato genio di Einstein, ha reso consapevole il mondo che il fluire del tempo è condizionato non solo dalla posizione e dalla velocità con cui si muovono uno rispetto all'altro due o più osservatori posti in regioni differenti dello spazio, ma anche dalla quantità di materia presente nello spazio, o meglio nello spazio-tempo. 
Una massa molto grande deforma il tessuto spazio-temporale che permea la realtà. I buchi neri vengono creati dall'implosione di stelle dotate di una massa molto grande (per approfondire, vedi Limite di Chandrasekhar), che provocano la deformazione dello spazio-tempo che ripiegando su sé stesso finisce per intrappolare la singolarità rappresentata dal "punto" su cui è andata a concentrarsi tutta la massa ad altissima densità della stella implosa. La densità è tale che neanche la luce può varcare l'orizzonte degli eventi del buco nero. La gravità provoca quindi la deformazione dello spazio-tempo, pertanto laddove la gravità è più forte il tempo scorre più lentamente in ragione della dilatazione temporale provocata dalla deformazione che la materia provoca sulla regione di spazio-tempo intorno a sé. Per questo stesso motivo il tempo è quindi relativo, ossia scorre diversamente ad esempio rispetto a due osservatori posti l'uno in prossimità di un buco nero, l'altro sul nostro pianeta. Il fluire del tempo del primo, costretto a muoversi dalla gravità su uno spazio-tempo estremamente dilatato, avverrà in maniera enormemente più lenta rispetto a quella del secondo, tale che se il primo tornasse sulla Terra alla velocità della luce, dopo aver transitato intorno all'orizzonte degli eventi del buco nero, si accorgerà che se per lui è trascorso un tempo percepito equivalente ad un anno terrestre, sulla Terra saranno trascorsi invece migliaia di anni. 
In sostanza il tempo non è un'entità assoluta che trascorre alla stessa maniera per tutti, in ogni punto dell'universo. La velocità del suo fluire è determinata dalla velocità e dalla posizione degli osservatori nell'universo, e dalla presenza di materia che distorce, piega e dilata lo spazio-tempo determinando un diverso fluire del tempo nelle regioni dello spazio dove la materia è più concentrata. 
Pur non potendolo apprezzare per l'entità minima della differenza in gioco, il tempo scorre più lentamente sulla cima di una montagna rispetto ad un osservatore posto a livello del mare o all'interno di una miniera nel sottosuolo della Terra. La differenza (impercettibile a queste scale) di gravità tra le due posizioni, determinata dalla diversa densità della materia (più densa verso il centro della Terra, meno sulle montagne), determina quello scarto temporale che solo precisissimi orologi atomici possono rilevare.


IL CONCETTO DI SIMULTANEITÀ E LE CONSEGUENZE DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ

Esistono poi altre conseguenze, per certi aspetti incredibili, che emergono dalla Teoria della Relatività di Einstein, rispetto al differente fluire del tempo in regioni lontane tra loro nell'universo, conseguenze che chiamano in causa il concetto di simultaneità. Non è semplice spiegarlo, ancor meno comprenderlo, ma posso provarci. 
Allora...immaginate un osservatore posto in un pianeta lontano nello spazio che si stia muovendo avvicinandosi verso la nostra direzione, mentre noi stiamo fermi. Il suo muoversi contemporaneamente nello spazio e nel tempo farà sì che la sua "fetta" di spazio-tempo sarà tale che il concetto di simultaneità così come lo concepiamo noi, ne uscirà stravolto. L'istante (ossia il presente) che sta vivendo lungo la sua linea del tempo corrisponde al "passato" rispetto alla nostra linea del tempo, quella che stiamo vivendo ora. Ossia il suo "presente" non coincide con il nostro, ma con quello dei nostri antenati vissuti ad esempio alcuni secoli fa o addirittura migliaia di anni fa. Questo è determinato dalle enormi distanze che separano regioni tra loro lontane del nostro universo, e dal fatto che il tempo, come abbiamo fin qui visto grazie ad Einstein, non scorre allo stesso modo per due o più osservatori in movimento posti in regioni differenti dello spazio. 
Allo stesso tempo se lo stesso osservatore di questo pianeta lontano si muovesse non più avvicinandosi a noi, ma allontanandosi, allora la sua linea del tempo, o meglio il "presente" della sua linea del tempo coinciderebbe non più con il nostro passato ma addirittura (il che se vogliamo è ancora più sconvolgente) con il nostro futuro, ossia con una linea del tempo che noi, intesi noi qui presenti, non abbiamo ancora vissuto (e che probabilmente non vivremo mai, se si tratta di un futuro lontano rispetto al nostro presente). 
Anche se tutto questo ci sembra assurdo e sconvolgente, è ciò che emerge dalle leggi che descrivono il funzionamento della realtà in cui viviamo, e ad oggi la Relatività generale e la Relatività ristretta di Einstein, hanno resistito ad ogni verifica sperimentale od empirica o a quanto osservato e verificato su vari aspetti e fenomeni che accadono nel nostro universo.


L'ENTROPIA E LA FRECCIA DEL TEMPO

Al di là delle riflessioni filosofiche sulla natura del tempo, e al di là della definizione di tempo legata alla struttura spazio-temporale dell'universo in cui viviamo (così come definita da Einstein agli inizi del '900), la migliore comprensione della sostanza della natura del tempo deriva dalla conoscenza di una grandezza fisica ben definita, l'entropia, responsabile delle conseguenze legate al fluire del tempo, compreso il nostro invecchiamento (e morte) e l'invecchiamento della materia. 
L'entropia determina infatti la cosiddetta "freccia del tempo", ossia la direzione del flusso del tempo (sempre e soltanto "in avanti"). L'entropia è una grandezza che cresce sempre, può essere definita come la misura del disordine di un sistema. L'impossibilità fisica di rendere reversibili i fenomeni relativi alla grandezza nota come entropia, sono alla base dell'essenza profonda della natura del tempo. La nostra stessa vita è una continua lotta contro l'entropia, il nostro organismo è un sistema ordinato che attraverso il metabolismo ricostruisce il proprio ordine interno e attraverso il calore espelle all'esterno la quantità di disordine, impedendo all'entropia di portarci rapidamente alla morte. Ma l'efficienza della nostra macchina/organismo decresce con il fluire in avanti del tempo, ossia invecchia probabilmente per "usura" legata proprio alla incessante ricostruzione dell'ordine interno necessario per il prosieguo della vita. Alla fine l'entropia ha la meglio e l'organismo muore. 
Quando, in un tempo ancora lontano l'entropia sarà massima, l'universo avrà raggiunto l'equilibrio termico e ogni forma di vita, lavoro, fenomeno o movimento avrà fine, e il nostro universo avrà concluso il suo ciclo o il suo fine (se mai esiste un ciclo o un fine ultimo. Il fisico e matematico Roger Penrose ha elaborato la Teoria della Cosmologia Ciclica Conforme, secondo la quale l'universo in cui viviamo è soltanto uno di infiniti cicli di universi che nascono e muoiono). 
Non ho dato qui, per ovvie ragioni di spazio (è già un miracolo se siete arrivati a leggere fin qui) una definizione compiuta e comprensibile della fondamentale grandezza dell'entropia (che è alla base della natura del tempo), alla quale rimando per una piena comprensione di questa parte del discorso (per un approfondimento rapido online, inserire nei motori di ricerca le parole "entropia" e "freccia del tempo").


RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Per una più profonda comprensione della natura del tempo e più in generale della realtà oggettiva dell'universo all'interno del quale le nostre esistenze sono vincolate, resta da unificare la Relatività generale con la meccanica quantistica, ossia resta da trovare un ulteriore modello descrittivo del funzionamento della realtà più profonda, quella che avviene sia a livello di macrocosmo che di microcosmo. È la famosa Teoria del tutto che i fisici stanno cercando fin dai tempi dello stesso Einstein, cioè da quando Teoria della Relatività e meccanica quantistica hanno visto la luce, tra i primi anni e la prima metà del primo decennio del '900.
Ad oggi le ultime evoluzioni della teoria delle stringhe, in particolare la Teoria M, sono le principali candidate a diventare la Teoria del tutto, ossia il modello in grado di descrivere ogni aspetto più profondo del funzionamento della realtà del nostro universo, in grado di svelare alla nostra comprensione ogni aspetto della natura della realtà oggettiva, compresa quella del tempo da cui sono scaturite queste mie lunghe riflessioni, frutto di quanto fino ad oggi ho letto e studiato sull'argomento.


mercoledì 2 ottobre 2019

Ecologia profonda: pensare come una montagna

Il filosofo norvegese Arne Naess introdusse negli anni '70 il concetto di "ecologia profonda" e coniò l'espressione: "pensare come una montagna".
Si ispirò alle splendide riflessioni e parole di Aldo Leopold, che osservando gli occhi di una lupa morente (alla quale purtroppo aveva sparato) scrisse: "Riuscimmo a vederla appena in tempo per cogliere gli ultimi barlumi di un fuoco verde nei suoi occhi feroci. Allora mi accorsi, e poi l'ho sempre saputo, che c'era qualcosa di nuovo per me, in quegli occhi: qualcosa che conoscevano solo lei e la montagna".
La montagna è il simbolo di un legame perduto tra l'uomo e la forza vitale della natura, quell'energia ancestrale che è all'origine e alla base stessa della vita.
Naess, che nel 1988 divenne presidente di Greenpeace Norway, con i concetti di "ecologia profonda" e del "sé ecologico", concorse a rendere più solide le basi della filosofia ambientalista, ed ispirò quell'attivismo ecologista che proprio in quegli anni muoveva i primi passi, e che di lì a breve divenne protagonista di una delle sue stagioni migliori.