mercoledì 14 ottobre 2020

Neopositivismo, continuità storica e sfide attuali

Proprio pochi giorni la visione di un video del periodo della Bella Époque ha indotto in me delle riflessioni sulle illusioni che scaturirono dopo l'avvento della seconda rivoluzione industriale, la caduta dell'assolutismo, il trionfo della borghesia divenuta classe dominante, la scienza e la tecnologia al servizio della stessa e protagoniste principali del nuovo paradigma avviato dallo stato di cose sopra descritto.

La giusta osservazione, oggi, di un mio amico, il quale su un post pubblicato sul suo profilo facebook osserva che cent'anni fa la situazione era non solo simile ma persino peggiore di quella attuale, per la concomitanza della pandemia dell'influenza spagnola e della Prima guerra mondiale, ha suscitato in me ulteriori riflessioni.
L'apertura del '900 fu una tragedia storica. Oggi con il senno di poi sappiamo che la Prima guerra mondiale sancì la drammatica fine dell'illusione fino ad allora imperante che con la seconda rivoluzione industriale si fosse inaugurata, per l'umanità, un'epoca di progresso e miglioramento universale delle condizioni di vita materiali e spirituali. Il positivismo, movimento culturale che esprimeva ed elaborava il sentimento di quel periodo, aveva creato e diffuso quella pia illusione. Con la Grande Guerra si aprì invece quel tragico '900 che avrebbe riservato all'umanità alcuni dei peggiori orrori della storia: l'Olocausto e la soluzione finale per l'annientamento del popolo ebraico, la guerra totale che non risparmiava nemmeno i civili, anzi li colpiva direttamente e su larga scala come mai accaduto in quelle proporzioni nelle altre epoche del passato, la potenza atomica utilizzata per fini bellici, con le prime due bombe atomiche sganciate sulla popolazione civile in Giappone. Oggi viene da chiedersi: "chissà gli storici e la storiografia del futuro cosa scriveranno e come interpreteranno invece i nostri tempi attuali".
Quello che mi viene spontaneo osservare, è che lo spirito del positivismo in realtà non è mai morto, ossia l'evoluzione socio-economica e strutturale è avvenuta, e continua ad avvenire, tutta all'interno del medesimo paradigma che ispirò la società di allora, quella scaturita dalla prima e soprattutto dalla seconda rivoluzione industriale, che è ancora la stessa di oggi (semmai si è ulteriormente evoluta attraverso quella terza rivoluzione industriale che ha ulteriormente raffinato la tecnologia di cui disponiamo oggi). Ma all'interno di questa continuità storica che tiene unite l'epoca del primo positivismo con quella attuale, viviamo oggi non soltanto le stesse contraddizioni di allora (figlie dell'illusione che la tecnologia e lo sviluppo della scienza esauriscano e portino a compimento tutte le aspirazioni umane), ma criticità prima sconosciute come quelle legate ai limiti delle risorse e dello sviluppo, alla sovrappopolazione e alla degradazione progressiva e inarrestabile degli ecosistemi e della biosfera in generale. La scienza e la tecnologia, pur artefici di indubbie conquiste e di un innegabile miglioramento delle condizioni di vita dell'uomo, continuano ad essere al servizio esclusivo delle forze che sono espressione del paradigma attuale, incentrato sul concetto di sviluppo e di crescita "infinita" espressi dalla classe dominante, prima che del progresso umano generale in quanto tale, come già durante il primo positivismo figlio della seconda rivoluzione industriale. Il filo che lega queste due epoche ('800/900 e terzo millennio) non si è mai interrotto, si sono piuttosto aggiunte ulteriori criticità che complicano ulteriormente quella ricerca delle soluzioni adatte il cui scopo è quello di evitare alle società umane quel declino che potrebbe portarle a rivivere scenari che oggi riteniamo, in maniera fin troppo scontata, superati. Dobbiamo provare a trarre insegnamento dalla storia, per evitare almeno di ripetere errori evitabili. Ognuno di noi può provare a fare il suo per impedire quelle derive che sembrano profilarsi all'orizzonte, anche se le dinamiche che avvengono al vertice della piramide decisionale che governa il mondo, schiaccia ogni tentativo di avviare una fase nuova. Fase già piuttosto difficile da avviare di suo, per la confusione che regna anche alla base, confusione non casuale ma funzionale e ben orchestrata e alimentata dalle forze conservatrici che guidano il mondo. Saremo capaci di affrontare le sfide che l'epoca attuale ci pone innanzi? Avremo la capacità di individuare, con ragionevole chiarezza, l'origine e la natura delle forze che agiscono nel substrato sociale e che agitano le coscienze degli individui delle società umane contemporanee, per indirizzarle verso esiti stabiliti o comunque funzionali agli obiettivi che le forze stesse della conservazione si sono prefisse?
 
 


domenica 19 luglio 2020

Il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943 e l'attività di soccorso dei vigili del fuoco

Il link per ascoltare la registrazione della puntata di Radio Giano dedicata al primo bombardamento di Roma del 19 luglio 1943, con il mio intervento dedicato all'attività di soccorso alla popolazione svolta dai vigili del fuoco:

19 luglio 1943-2020: Roma bombardata. Il contributo dei vigili del fuoco nel soccorso della popolazione

domenica 14 giugno 2020

Registrazione della mia intervista dedicata alle criticità e alle potenzialità dell'area del Parco di Centocelle

Nel link che segue la mia intervista, andata in onda e registrata su Radio Giano, dedicata all'area del Parco di Centocelle: progetti non realizzati, cronaca recente, criticità e potenzialità.

sabato 2 maggio 2020

La storia della fabbrica Snia Viscosa di via Prenestina e l’attività di censimento e monitoraggio dei valori naturalistici dell’area

Per ascoltare la registrazione con il mio intervento di oggi durante la trasmissione di Radio Giano dedicata al Lago Bullicante e alla storia della fabbrica Snia Viscosa di via Prenestina, si può cliccare su uno dei link che seguono:




Il Lago Bullicante e lo scheletro del centro commerciale

mercoledì 22 aprile 2020

Coronavirus e Covid-2019: laboratorio artificiale o salto di specie?

I mercati asiatici dove vengono uccisi animali selvatici vivi, sono i luoghi dove avvengono i cosiddetti salti di specie di virus altrimenti endemici dei luoghi e delle specie animali che un tempo non subivano la stessa imponente pressione antropica di questi nostri tempi. I virus cercano dei veicoli per riprodursi e all'interno dei quali transitare per diffondersi, e sotto questo punto di vista gli 8 miliardi di individui che siamo rappresentano per loro l'occasione evolutiva e l'incubatrice biologica infinitamente più vantaggiosa rispetto alle poche migliaia di individui di pipistrelli (mammiferi come noi, quindi il salto di specie è anche più facile), o altre specie animali, che fino a ieri ne erano stati lo strumento principale di dimora e diffusione. Non occorre scomodare fantomatiche creazioni di virus artificiali in laboratorio, in quanto il laboratorio naturale degli stessi sono quegli ecosistemi ai quali un tempo eravamo estranei e che oggi abbiamo invaso offrendo ai virus l'occasione mai avuta prima di abbandonare le poche ed incerte migliaia di specie animali per infettare i miliardi di uomini che trovano praticamente ovunque e che si spostano ovunque a velocità illimitata. Queste considerazioni finiscono per evocare il concetto logico del rasoio di Ockam. È più facile evocare la spiegazione del virus artificiale creato appositamente in un laboratorio cinese, o è più facile che il laboratorio stesso sia quello naturale che abbiamo invaso noi offrendo al virus la possibilità di fare il salto che in natura ogni entità biologica fa, cercando la strada più favorevole alla propria riproduzione evolutiva? Io tra le due possibilità, non ho dubbi. 
Il laboratorio è il mercato stesso, dove vi è quella promiscuità e quel contatto continuo che un tempo non c'erano: l'uomo e gli animali selvatici con tutto il loro carico di virus endemici. La macellazione continua di questi animali, peraltro senza alcuna norma né protezione, prima o poi rende oggettivo il salto di specie. Il virus muta continuamente e sviluppa le strategie evolutive a lui più favorevoli. Dopo x tentativi, la mutazione (all'interno dell'organismo umano) è avvenuta e il salto di specie è fatto. Ora il virus ha a disposizione non più soltanto poche migliaia, peraltro confinate in un'area circoscritta, ma miliardi di individui da infettare in tutto il mondo, in ogni luogo e in ogni spazio. È la strategia evolutiva di ogni organismo od entità biologica, quella di sfruttare la possibilità migliore per la sua affermazione, evoluzione e riproduzione. Niente di nuovo, ce l'ha detto Darwin, ce lo dicono la selezione naturale, l'ecologia, la biologia. Cioè la scienza.
È giusto tener conto delle opinioni di ognuno, soprattutto di chi può esprimerle da posizione autorevole. Ma teniamo anche conto del fatto che nella scienza le opinioni se non sono suffragate da dati oggettivi, riscontri sperimentali e ripetibilità dei risultati, restano opinioni senza alcun valore oggettivo. In questo senso qui la scienza, o meglio il metodo scientifico (che dobbiamo principalmente ad un nostro illustre connazionale, Galileo) è la migliore garanzia che abbiamo sulla veridicità o meno delle opinioni e delle ipotesi scientifiche, che possono essere verificate e falsificate dalla vasta comunità scientifica internazionale.

Quarantena, tempo sospeso e fuga dal mondo

La lettura dell'articolo che segue induce delle riflessioni e la necessità di elaborare razionalmente il vissuto di questo tempo sospeso. 


Tra gli effetti collaterali, imprevedibili, della situazione che stiamo vivendo, c'è anche questo: sono in molti ad aver ricostruito la propria quotidianità, scandita ora da tempi lenti e senza le rigidità tipiche degli appuntamenti obbligati. Sono in molti a vivere la sensazione di aver improvvisamente recuperato il proprio tempo, da impiegare e gestire lentamente e senza ansie, riassaporando addirittura una strana sensazione di libertà perduta (per assurdo, ci si può sentire più liberi dentro quattro mura che vincolati ai doveri e rituali sociali non contrattabili della "normale" quotidianità). È un po' come quando, dopo le ferie estive, si deve tornare alla routine di tutti i giorni. C'è quell'iniziale difficoltà a riprendere il proprio posto nella frenetica arena della competizione e della corsa quotidiana alla produttività, al consumo, ai rituali imposti ad una collettività protesa verso un'omologante concezione e prassi del vivere, che non si può e non si deve mettere in discussione, pena la "scomunica" dalle magnifiche sorti e progressive dello stile di vita occidentale, che esalta valori che non è lecito discutere e ai quali sottrarsi è un'eresia. 
Per fare un parallelo storico apparentemente un pò forzato ma non del tutto peregrino, è un pò come la fuga dal mondo dei monaci laici che, a più ondate, caratterizzò le fasi più significative del Medioevo. Oggi la "fuga dal mondo" è stata imposta da questa emergenza, e alcuni hanno potuto assaporare il gusto imprevisto di un ritmo più lento e svincolato dagli imperativi e dai dogmi del "secolo". Quei monaci del Medioevo, provvidenzialmente, facevano sempre il loro ingresso nella storia nei momenti di crisi, per "rigenerare" la spiritualità, la società e la politica (che erano tutt'uno) del loro tempo. Riusciranno oggi, i nuovi "monaci" della forzata, imprevista e momentanea fuga dal "secolo", a rigenerare una società istericamente protesa all'esaltazione degli unici valori imposti, quelli della produzione, del consumo, dell'individualismo e del tecnologismo che tutto pervade e tutto assoggetta a sé? Ai posteri l'ardua sentenza, l'unica considerazione che possiamo fare è che occorre sempre guardare alle leggi (o potremmo dire alle "costanti") storiche, le quali dimostrano che i cambiamenti avvengono soltanto quando i tempi sono maturi, quando il terreno è stato loro preparato dalle "invisibili" forze dinamiche che agiscono nella storia, quando gli uomini sono pronti a recepire i cambiamenti, a farli propri e ad imporli alle sovrastrutture, facendone emergere la necessità a lungo repressa e sopita.
 

lunedì 13 aprile 2020

Le migrazioni: fenomeno costante di ogni epoca umana e motore dello sviluppo storico

Quello delle migrazioni è un tema spinoso, che evoca paure, conflitti e forti contrapposizioni politiche. Ma se proviamo ad affrontarlo con riflessioni pacate, sgomberando l'animo dalle passioni che scaturiscono dagli istinti di conservazione che il tema stesso evoca su ciascuno di noi, e gettiamo infine uno sguardo attento verso quello che ci mostra la storia, vediamo che essa, a riguardo, ci dice che non esiste epoca nella storia dell'uomo dove non vi siano state migrazioni, e che il costante afflusso di popolazioni e migranti se nel breve termine ha generato guerre e conflitti, nel medio-lungo termine ha rappresentato il motore stesso del progresso e dello sviluppo della civiltà umana, in ogni epoca. Infatti vediamo che, durante tutto l'arco storico, e persino dalla preistoria (ma è meglio ancora spingersi fino al tempo stesso in cui l'uomo è comparso sulla Terra), è stato tutto un susseguirsi incessante di migrazioni, senza interruzione di sorta. L'Homo sapiens (e ancora prima i suoi progenitori) si spostò dal continente africano e colonizzò Europa, Asia e resto della Pangea.
Nel secondo millennio avanti Cristo le popolazioni indoeuropee colonizzarono l'Europa e l'Italia, e quelle semite il Medioriente e l'Egitto. Durante l'Impero romano le popolazioni germaniche premettero incessantemente da est, e alla fine si riversarono entro i suoi confini, dando vita ai regni romano-barbarici e poi al regno Franco e al Sacro Romano Impero. Prima dell'anno mille continuarono ad affluire in Europa Avari, Slavi e Magiari (di stirpe mongola), che andarono poi a formare gli stati dell'Europa centrale ed orientale. Nel XIV e XV secolo i tedeschi si espandevano ad est e colonizzavano le regioni centro-orientali del continente. Tutta la storia non è altro che una successione continua di migrazioni e mescolamenti di genti (e di geni). Nel nostro meridione si sono mescolate, nello stesso periodo, genti bizantine, arabe, normanne, sveve e più tardi albanesi. Prima ancora c'erano stati i Longobardi di stirpe germanica che si erano insediati al nord e nei ducati di Spoleto e Benevento. In Inghilterra si sono fusi Celti, Angli, Sassoni, Vichinghi, Norvegesi, Danesi e Normanni. Niente e nessuno ha mai fermato le migrazioni di popoli e genti, forze dinamiche e costanti che hanno agito nella storia dispiegandosi di continuo ed agendo costantemente lungo il flusso dei secoli e dei millenni, concorrendo, insieme ai conflitti e le guerre, a caratterizzare ogni epoca dello sviluppo delle società umane. I momenti in cui le civiltà hanno prosperato di più, è quando al loro interno si sono fuse tra loro le popolazioni più diverse, come nella Sicilia normanna di Ruggero II d'Altavilla e in quella appena successiva di Federico II di Svevia, dove si erano fuse e vivevano insieme le culture e le popolazioni arabe, musulmane, cristiane, normanne, germaniche e ovviamente quelle autoctone dell'isola. Lo stesso era accaduto durante l'Impero romano, che all'apice della sua potenza aveva al suo vertice imperatori spagnoli (Traiano) e arabi (Filippo l'Arabo) che regnavano su un Orbe il cui centro nevralgico era nel bacino del Mediterraneo, dove sotto la guida dello stesso influsso universale operavano le forze scaturite da popolazioni romane, greche, egiziane, nordafricane, mediorientali e germaniche. Anche gli Stati Uniti sono diventati una potenza mondiale grazie all'apporto e al contributo delle più disparate popolazioni d'Europa, del sud America e dell'Africa, che condividono gli stessi principi e valori e si riconoscono nella stessa idea di patria, sotto la stessa bandiera.

La vita dei singoli uomini è breve, e non permette loro di osservare l'azione lunga delle forze dinamiche che agiscono incisivamente lungo tutto il corso della storia. E tali forze sono state e sono ancora continuamente alimentate dall'apporto continuo e dallo spostamento incessante di popoli e genti che migrano e si mescolano con quelle delle terre che di volta in volta attraggono i flussi migratori. Al contrario, quando le civiltà si sono chiuse ermeticamente in sé stesse, chiudendosi ad ogni influsso nuovo e cristalizzando l'esistente rendendolo impermeabile ad ogni apporto culturale esterno, come ad esempio l'Egitto prima della conquista macedone, le civiltà hanno perso energia, forza e alla fine si sono spente, finendo per essere conquistate da popolazioni più energiche e giovani.
Quale insegnamento possiamo quindi trarre da tutto ciò, se davvero la storia può insegnarci qualcosa? Che l'integrazione e la fusione che scaturisce dai processi migratori è non soltanto possibile, ma è persino il motore stesso dello sviluppo storico e del progresso che ne deriva. Che i conflitti che da questi processi scaturiscono nel breve termine, non cambiano le sorti e gli esiti mostrati dagli effetti prodotti nella storia sul medio-lungo termine. Nel breve si inaspriscono i rapporti umani e aumentano spesso la violenza, la sofferenza e le morti. Ma le civiltà più progredite e feconde di un'energia ancora viva, alla fine assorbono e si impongono sempre su quelle in partenza meno evolute, attraverso un processo di assimilazione spontanea e priva di scosse violente (la fase violenta è all'inizio, nel momento in cui le migrazioni arrivano. L'assimilazione è una fase più lenta, ma comunque rapida rispetto ai tempi lunghi della storia, e comunque è una fase spontanea e sostanzialmente non violenta, anche quando sussistono conflitti residui contingenti).
Tra qualche generazione i conflitti attuali provocati dai processi migratori di questa nostra fase storica, saranno soltanto un ricordo, perché nel frattempo sarà nata una società nuova dove i figli dei migranti di oggi avranno assorbito e assimilato i valori della civiltà che aveva attratto e dove erano approdati i loro genitori, ed opereranno spontaneamente all'interno della stessa per accrescerne potenza, influenza e gloria, com'è accaduto in ogni altra epoca della storia, in rapporto dialettico con le altre civiltà del pianeta, oggi più che mai collegate da una rete di relazioni fitta ed intricata, in analogia con le sinapsi di un sistema neurale che concorrono tutte insieme allo sviluppo e ai processi dinamici dell'organismo che governano.
 

Una lettura consigliata per comprendere l'evoluzione storica che ha portato alla nascita e all'affermazione dell'Europa di oggi

In questi giorni sto rileggendo Storia d'Europa. Dalle invasioni al XVI secolo di Herni Pirenne, un testo che studiai ormai diversi anni fa per un esame universitario. 
Pirenne è lo storico belga che ispirò la corrente di pensiero della Nouvelle Historie (Nuova Storia), legata alla nascita della scuola storiografica che prese avvio con la fondazione nel 1929 della rivista delle Annales, i cui componenti (Lucien Febvre, Marc Bloch, Fernand Braudel, Georges Duby, Jacques Le Goff) non solo hanno riscritto e migliorato in maniera esemplare la conoscenza del periodo medievale, ma hanno rivoluzionato il modo stesso di fare storia e storiografia, ampliando gli orizzonti di queste discipline includendovi i preziosi contributi delle altre scienze sociali.
La lettura di questo testo è particolarmente utile per conoscere ed approfondire la storia d'Europa, e soprattutto per capire l'Europa di oggi con le sfide in gioco, e le prospettive che ci attendono. È un testo davvero fluido, che si legge senza difficoltà, grazie allo stile estremamente chiaro di Pirenne, il cui grande pregio è quello di esprimere sempre con molta lucidità gli elementi e le condizioni storiche e sociali che sono alla base e che spiegano la genesi dei grandi eventi che accadevano e si succedevano nel corso degli anni e dei secoli, e che solcavano profondamente il percorso lungo cui la storia proseguiva nel suo flusso e sviluppo. È indubbiamente un testo per appassionati di storia, che si legge ancora meglio se già si è avuto modo di studiare una fase storica lunga, difficile, ma estremamente affascinante e gravida di premesse, conseguenze e sviluppi per il futuro, quale è stata quella Medievale (che a dispetto di un'errata convinzione diffusa, spiega molto di quello che siamo oggi). È anche un testo che si può leggere bene se si è totalmente digiuni sulla conoscenza di questo periodo storico, e sugli eventi ed argomenti che nel corso di questi secoli, troppo superficialmente ritenuti "oscuri", mettono piuttosto "in luce", attraverso un continuo succedersi e sovrapporsi di passioni, violenze, aspirazioni alla conquista, spirito di avventura, spiritualità e grandi conquiste artistiche, quelle forti contraddizioni dell'animo e quella mai sopita vitalità che appartiene agli uomini e alle società umane di ogni tempo, e che forse proprio nel Medioevo si è rivelata con ancora più forza ed incisività rispetto ad altre epoche.



venerdì 10 aprile 2020

La situazione attuale, gli scenari futuri e la funzione egemonica degli imperi nel corso della storia

La crisi straordinaria che stiamo vivendo, pone l'Unione europea davanti a un bivio storico: il rischio concreto è che la sua inerzia e incapacità di affrontare una crisi straordinaria con strumenti straordinari e con unità politica di intenti, ne riveli la sua inutilità, che diventa persino dannosità e intralcio nei momenti di crisi. Ragioni, motivi o pretesti per non attuare strategie, azioni e prendere decisioni politiche comuni, ve ne saranno sempre. La logica conseguenza di tutto ciò, non resterebbe alla fine che una: torniamo ognuno per sé, e mettiamo fine ad un progetto nato buono nelle intenzioni, ma rivelatosi, per ragioni varie, inattuabile. Occorre però avere la consapevolezza, fin da subito, delle più che probabili conseguenze: senza un soggetto politico continentale forte, oggi sul punto di naufragare o comunque bloccato dalla incapacità e dalla mancanza di volontà politica di armonizzare gli squilibri economici interni (con i costi che questo comporta), prigioniero dell'egemonia tedesca e degli egoismi nazionali di ciascuno, saremo esposti, indifesi, alle politiche colonialiste ed imperialiste delle altre superpotenze del globo multipolare: Usa, Cina, Russia, India. E chiaramente rinunceremo a svolgere un ruolo da protagonisti nella storia. Diventeremo, al più, dei satelliti periferici degli imperi che resteranno al centro dello sviluppo materialistico e dialettico della storia, e tenteranno di spartirsi il mondo e le risorse (e l'Europa parcellizzata sarà una delle loro prede principali), prima o poi anche con la guerra (che, come insegnava von Clausewitz, è la prosecuzione della politica con altri mezzi).
L'altro rischio, tutt'altro che remoto, è che, senza una Unione europea, la Germania torni ad esercitare nel continente un ruolo non soltanto egemonico, ma anche imperialistico. Non le mancano né la capacità economica per farlo, né una popolazione che ha dimostrato, storicamente, di essere ben inquadrata all'interno di una logica caratterizzata da una solida disciplina votata a ricorrenti e mai sopiti propositi di conquista e di espansione (dai tempi delle invasioni barbariche del IV e V secolo d.C., fino alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale). La storia insegna che il mondo è stato caratterizzato da un continuo svilupparsi di imperi il cui compito era quello di controllare risorse, popolazioni e territori estesi, funzionali all'esercizio della propria potenza e all'affermazione della propria civiltà. L'Italia ha vissuto storicamente questa fase, grazie all'Impero romano, in cui è stata a lungo il cuore pulsante e il territorio nevralgico dove tutte le risorse del mondo mediterraneo dell'età classica affluivano (almeno fino a quando, con lo spostamento della capitale a Costantinopoli, l'asse si è spostato ad Oriente). In Cina e in India altri imperi, nello stesso periodo e lungo tutto il corso del Medioevo, esercitavano la loro egemonia nei territori del continente asiatico. Altri imperi ancora si sono susseguiti in altre aree del mondo nel corso del tempo, quelli musulmani subito dopo la morte di Maometto (con le dinastie Omayyade a Damasco e Abbaside a Baghdad, poi l'Impero ottomano dal XIII secolo fino al 1924), quindi l'Impero spagnolo, poi inglese, poi quello francese di Napoleone e quello asburgico in Europa, fino ad arrivare al Novecento con l'affermazione definitiva dell'Impero statunitense e con il ritorno di quello cinese agli inizi del nostro XXI secolo, il quale compete con il primo per estendere il proprio controllo, la propria influenza e la propria egemonia sul resto del mondo.
Per chi prospetta vantaggi assoluti per i singoli paesi del continente (il nostro in primis) dal crollo dell'Unione europea, derivanti dalla possibilità di stabilire accordi ed alleanze autonome con le potenze degli  altri "assi" che tengono saldamente in mano le redini del mondo, va detto che ad oggi nessun paese europeo, da solo, avrebbe la forza politica e militare di contrattare alla pari un'alleanza con Cina o Russia ad esempio. Anche qui la storia insegna che è sempre il più forte che vince, finiremmo quindi, se agissimo singolarmente al di fuori di un organismo politico più grande, per essere assorbiti e diventeremmo uno dei paesi satelliti di uno degli Imperi attualmente impegnati nelle battaglie per  ridefinire e ridisegnare gli equilibri politico-militari del mondo. L'Unione europea serviva per assolvere alla funzione storica di competere alla pari con gli altri imperi, per provare a dettare la propria linea e per dare il proprio contributo allo sviluppo storico che seguirà. Se rinunciamo a questa funzione, le decisioni e la storia la faranno USA, Cina o Russia (e noi saremo soltanto un corollario di queste superpotenze). Difficile smentire l'evidenza che emerge  dall'analisi di questa legge storica (cioè che a fare la storia, siano gli imperi, attraverso la propria forza politica, economica e militare). A meno che un qualche evento imprevedibile (ma improbabile a mio avviso) non sopraggiunga a resettare tutto,  per rimettere tutti in gioco alla pari, ma anche in questo caso, qualora un evento del genere sopraggiunga davvero, di solito i primi ad essere resettati o comunque a pagarne le conseguenze più care, sono proprio i paesi più deboli.
Occorre quindi avere ben chiaro il complesso quadro fin qui esposto, perché è all'interno di esso che operano le forze dinamiche della storia, materia il cui studio e la cui conoscenza è fondamentale proprio per riuscire a valutare meglio cosa sta accade oggi intorno a noi, e dove andremo a parare con le scelte (o le non scelte) che ci accingiamo a fare.



domenica 5 aprile 2020

Pandemia, biosfera e necessità di un nuovo umanesimo

In questi giorni, complice anche il bel tempo e la primavera conclamata, cresce nelle persone la voglia di riappropriarsi della quotidianità perduta, di rioccupare le strade e riprendere quella vita sociale sospesa a causa della pandemia in corso. Ieri qui a Roma, ma mi sembra di capire anche altrove, si è assistito ad un sostanziale e liberatorio rompete le righe spontaneo e collettivo, seppure (per fortuna) in piccola scala. Sono tornati ad affollarsi i mercati rionali e le strade del quartiere, soprattutto nelle ore centrali.
Purtroppo è ancora presto per lasciarsi andare alla comprensibile voglia di recuperare il ritmo autentico della vita che, per i più è tale soltanto se inserito nel flusso dinamico dei rapporti sociali e collettivi. Per quanto possa essere complicato il rispetto di regole restrittive che sembrano protrarsi ad oltranza, ad oggi non esiste altro modo per fronteggiare il pericolo di un virus che ha già mostrato, nella drammaticità dei suoi numeri, tutta la sua contagiosità e letalità. Fin quando non vi saranno vaccini o cure efficaci, non resta, per affrontare il problema, altro modo che il distanziamento sociale con il relativo blocco delle attività quotidiane. Se il virus fosse lasciato libero di fare il suo corso tra la popolazione, senza ostacolo alcuno, andremmo rapidamente verso le centinaia di migliaia di morti con grave rischio della tenuta stessa non soltanto del sistema sanitario, ma della stessa società civile e della democrazia. Purtroppo ad oggi non vi è alternativa possibile a questi scenari e alle misure adottate per scongiurarli. Il percorso logico che ha portato a dover attuare le misure attuali, non è smentibile dalla possibile adozione di scenari alternativi. Chi nel resto del mondo ha provato inizialmente a paventare la possibilità di una strategia diversa, ha dovuto ripiegare rapidamente, e sotto l'influsso degli stessi implacabili numeri, sulle medesime soluzioni che sono state adottate qui (e, in misura molto più stringente, in Cina). I risultati del resto si iniziano anche a vedere. I numeri dei nuovi contagi continuano a crescere ma in maniera molto più lenta rispetto all'inizio. La curva della crescita dei nuovi contagiati ha abbandonato da tempo (e per fortuna) la progressione esponenziale dei primi giorni. Ciò nonostante abbiamo ancora, purtroppo, un numero elevato di decessi giornalieri. Oggi probabilmente toccheremo i 16.000 decessi dall'inizio dell'epidemia. Sono numeri drammatici, ma che ci fanno comprendere la dimensione del problema e cosa sarebbe accaduto se non fossero state adottate le misure che siamo chiamati a rispettare. Il sacrificio richiesto è grande, la limitazione delle libertà individuali dura da digerire, la quotidianità stravolta psicologicamente impattante su un equilibrio già spesso reso precario dalle battaglie individuali di ognuno, nell'arena della vita ordinaria. Ma oggettivamente ci troviamo davanti ad un'emergenza nuova, o meglio, nuova per questi nostri tempi, così veloci, frenetici e interconnessi. Se vogliamo andare a ricercare qualcosa di simile, dobbiamo fare un salto all'indietro di cento anni, al 1919 e all'influenza spagnola. Non abbiamo quindi alternative, dobbiamo continuare a sopportare e a rispettare le limitazioni richieste, perché non c'è altra maniera di affrontare un virus che si è rivelato molto contagioso e letale. 
Utilizziamo il tempo a disposizione in più, che abbiamo, per riflettere anche sul perché si è arrivati a tutto questo. Sull'impatto che il nostro modello di vita e di sviluppo ha sugli ecosistemi e sulla biosfera. Il salto di specie del virus è avvenuto perché l'uomo ha invaso ecosistemi e ambienti selvaggi, un tempo separati e lontani dalle conseguenze e dagli impatti che le sue attività hanno oggi sugli stessi. Lo sfruttamento forsennato delle risorse limitate del Pianeta è funzionale soltanto alle esigenze di chi, in nome di un capitalismo che deve prevalere su ogni altra necessità o aspirazione dell'uomo, ci vuole far credere che sia possibile perseguire una crescita infinita, alla quale sia giusto sacrificare tutto il resto: il clima, gli ecosistemi, la biodiversità, la qualità della vita, la felicità, lo sviluppo spirituale dell'uomo, ecc. 
L'antropocene in cui viviamo, se non riflettiamo sulla necessità di cambiare rotta e di conciliare le giuste aspirazioni allo sviluppo e al progresso umano con la necessità di preservare intatti i servizi ecosistemici indispensabili alla vita (senza i quali la vita stessa si estingue), potrebbe essere l'ultima èra della storia con la presenza dell'uomo sul Pianeta, il quale può sopravvivere benissimo anche senza di noi (l'ha già fatto per miliardi di anni). A noi quindi la scelta, se vogliamo continuare a farne parte, come specie. L'economia non è l'unico idolo o l'unico aspetto della vita umana al quale dover sacrificare ogni altra aspirazione. 
Serve l'avvento di un nuovo umanesimo, una corrente di pensiero che sottolinei ora più che mai la necessità di mettere al centro di ogni prospettiva, i bisogni universali dell'uomo in ogni loro aspetto, per consentire alle società umane uno sviluppo più equilibrato, più diffuso, senza disuguaglianze che alimentano i conflitti, e che tenga conto delle esigenze di sostenibilità dettate dai limiti fisici di un Pianeta che abbiamo già abbondantemente oltrepassato, con le conseguenze inevitabili che abbiamo sotto gli occhi: cambiamento climatico galoppante, sesta estinzione di massa, diffusione di virus letali e guerre per la conquista delle risorse che, proprio in virtù dall'assolutismo del paradigma che ci ha portati fin qui, sono sempre più scarse e sempre meno in grado di continuare a sostenere la vita.




Il Sinodo del cadavere: processo post mortem a carico di Papa Formoso (891-896)

Il 4 aprile di 1123 anni fa, Roma assistiva, probabilmente inorridita, ai torbidi eventi passati alla storia con il nome di "Concilio cadaverico", in cui il cadavere del defunto papa Formoso fu dissotterrato per essere "chiamato" a rispondere delle sue presunte colpe, dinanzi al neoeletto papa Stefano VI e agli esponenti del partito spoletino che ne avevano decretato l'elezione.
Una pratica così macabra e apparentemente disumana, trovava il suo fondamento "giuridico" in un'antica consuetudine delle popolazioni germaniche, per le quali non era scandalo ricorrere, in talune situazioni, a processi post-mortem nei confronti del cadavere di veniva chiamato in giudizio. Nell'evento di papa Formoso, vediamo così riemergere l'antica anima germanica, barbarica e pagana dei longobardi duchi di Spoleto.




 Concilio cadaverico, Jean-Paul Laurens (1870), Nantes, Musée des Beaux-Arts


«Il cadavere del papa, strappato alla tomba in cui riposava da otto mesi, fu vestito dei paludamenti pontifici, e deposto sopra un trono nella sala del concilio. L'avvocato di papa Stefano si alzò, si volse verso quella mummia orribile, al cui fianco sedeva un diacono tremante, che doveva fargli da difensore, propose le accuse; e il papa vivente, con furore insano, chiese al morto: "Perché, uomo ambizioso, hai tu usurpato la cattedra apostolica di Roma, tu che eri già vescovo di Porto?". L'avvocato di Formoso addusse qualcosa in sua difesa, sempre che l'orrore gli abbia permesso di parlare; il cadavere fu riconosciuto colpevole e condannato. Il sinodo sottoscrisse l'atto di deposizione, dannò il papa in eterno e decretò che tutti coloro ai quali egli aveva conferito gli ordini sacerdotali, dovessero essere ordinati di nuovo. I paramenti furono strappati di dosso alla mummia, le recisero le tre dita della mano destra con le quali i Latini sogliono benedire, e con grida barbariche, gettarono il cadavere fuori dall'aula: lo si trascinò per le vie, e, fra le urla della plebaglia, venne gettato nel Tevere.

(Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, tomo V, cap. V.)

giovedì 2 aprile 2020

Carlo Magno e il Sacro Romano Impero

Oggi è il compleanno di Carlo Magno, il sovrano franco considerato dagli storici il fondatore e il padre dell'Europa.
Carlo Magno fu anche il primo sovrano di quel Sacro Romano Impero che, con alterne vicende e periodici grossi "buchi temporali" (legati per lo più alle periodiche lunghe "vacanze" del trono e alle successioni dinastiche), sopravvisse addirittura fino al 1815, cioè fino a quando il Congresso di Vienna lo trasformò nella Confederazione degli Stati tedeschi. In realtà Carlo Magno, quando se lo vide proporre dal papa, manifestò scetticismo sulla opportunità di fondare un impero. Lui era già il re dei Franchi e dei Longobardi, avrebbe potuto fare a meno del titolo di imperatore che serviva più che altro al prestigio e alle aspirazioni politiche del papa che, tra le altre cose, intendeva così sganciarsi definitivamente dalla sudditanza e dalla tutela, ormai solo di facciata, esercitata dall'imperatore che era a Costantinopoli. L'Impero romano non aveva mai smesso di esistere, era quello che le fonti successive avrebbero chiamato, per distinguerlo dall'impero romano che tutti identifichiamo con la città di Roma, impero bizantino o Impero romano d'Oriente. In realtà l'Impero era sempre rimasto uno solo, l'unico impero il cui Basileús ton romaíon (Imperatore dei romani) era il legittimo successore del primo imperatore, Ottaviano Augusto. Le invasioni barbariche che fecero precipitare la situazione di un impero d'Occidente già traballante, presero avvio nel 376, cioè quando i Visigoti attraversarono in massa il Danubio ed entrarono entro i confini dell'Impero per sfuggire alle orde unne che avevano fatto ingresso nell'Europa dell'est, cui seguirono la sconfitta di Adrianopoli del 378 (in cui lo stesso imperatore Valente rimase ucciso), il sacco di Roma da parte di Alarico nel 410, il sacco di Roma dei Vandali di Genserico nel 455, fino alla deposizione di Romolo Augusto da parte dello sciro Odoacre nel 476, il quale inviò le insegne imperiali a Costantinopoli e rivendicò per sé il solo titolo di re d'Italia (e non di imperatore delle terre d'Occidente).
Questi fatti provocarono sì la caduta dei territori dell'area occidentale dell'Impero, ma non la fine dell'Impero stesso, che continuava ad essere Impero romano di lingua greca, abitato da genti greche (le quali però, dicevano di se stesse di essere romane, non bizantine o greche). I regni romano-barbarici, pertanto, non erano "autorizzati" né a considerarsi imperi né a fondarli o rifondarli. L'impero romano non aveva ceduto loro le aree occidentali, essi le avevano occupate. Quando il papa propose a Carlo Magno l'incoronazione come imperatore, nonostante fossero ormai trascorsi più di tre secoli dalla deposizione di Romolo Augusto, ecco manifestarsi l'iniziale perplessità del sovrano franco, il quale sapeva benissimo che fondare un nuovo impero ad occidente, o rifondarlo, significava entrare in contrasto con l'Impero romano mai tramontato, la cui capitale era Costantinopoli. Lo stesso papa ed anche alcuni esponenti della corte franca, per convincerlo, giustificarono l'ardimentoso atto con il fatto che il trono dell'impero era da considerarsi vacante, in quanto l'imperatrice Irene allora in carica aveva usurpato la corona al legittimo imperatore Costantino VI, suo figlio che aveva crudelmente fatto accecare ed incarcerare (e che poco dopo morì). Pare che gli stessi documenti prodotti dalla corte franca, successivamente all'incoronazione di Carlo Magno, mostrino sempre una certa prudenza nel rapportarsi in maniera ufficiale con l'Impero romano di Costantinopoli, consapevoli della "questione" che la fondazione di un nuovo Impero (il Sacro Romano Impero) ad occidente aveva aperto con esso.

In questi giorni, in cui abbiamo giustamente sentito spesso fare appelli ad una maggiore unità di azione dei paesi europei (sia in generale, sia nello specifico in relazione all’emergenza sanitaria che stiamo affrontando), queste brevi righe introducono la figura storica di un personaggio del lontano passato medievale, uno dei precursori autorevoli del concetto e dell’idea stessa di Europa (che nacque proprio nel Medioevo, sia attraverso la progressiva fusione tra le popolazioni romane del defunto impero e quelle germaniche che, nel breve giro di alcune generazioni, ne assorbirono la civiltà, sia dalla disgregazione dell'unità mediterranea e del vecchio mondo greco-romano provocato dalla irruzione dell'Islam).


Bibliografia:

H. Pirenne, Maometto e Carlo Magno, 1937.

H. Pirenne, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, 1991.

A. Barbero, Carlo Magno. Un padre dell'Europa, 2000.

L. Febvre, L'Europa. Storia di una civiltà, 2014.

venerdì 27 marzo 2020

"Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città"

Al di là del credo di ognuno, e nel rispetto del pensiero di tutti (credenti e atei), la scena del Papa in preghiera davanti ad una piazza San Pietro vuota, è carica di un simbolismo che ben interpreta il triste momento che viviamo. 
Il nostro "Io" razionale, figlio della rivoluzione scientifica, dell'Illuminismo, del Positivismo e in breve del pensiero moderno, suggerisce alla maggior parte di noi che probabilmente non saranno le preghiere del Papa o quelle di milioni di credenti di una delle religioni del mondo a liberarci dalla pandemia e dalle paure ad essa connesse. Ma la sfera spirituale, di cui è permeata almeno una parte della complessa essenza umana, si riappropria, anche attraverso le manifestazioni religiose, dei suoi antichi riti ancestrali, per trovare un conforto alla propria immanente debolezza di fronte alla soverchiante superiorità delle forze naturali e dell'ignoto, che nonostante tutto continuano a governare il destino individuale e collettivo di ogni cosa, compreso quello di un'umanità troppo spesso convinta di riuscire a dominare non soltanto il mondo, ma anche il proprio stesso destino di fronte all'ineluttabile limite che invece ci governa tutti.



giovedì 26 marzo 2020

La "lunga durata", le epidemie cicliche e l'utilità della storia

Nella maggior parte dei paesi europei il numero di contagiati al Covid-2019 sembra riscontrarsi nelle capitali (Madrid, Parigi, in misura minore Berlino), ossia in aree popolose in grado purtroppo di favorire lo sviluppo di focolai responsabili della crescita rapida ed esponenziale dei contagi, proprio in ragione del fatto che è in queste grandi città che c'è una maggiore concentrazione di popolazione.
In Italia abbiamo assistito finora ad una situazione diversa: i primi focolai si sono sviluppati in centri molto piccoli (in Lombardia), da dove poi (purtroppo) il contagio si è esteso in aree più grandi (Bergamo) con tutte le drammatiche conseguenze del caso, ma per ora (e speriamo anche in seguito) in misura minore nei grandi centri e nelle metropoli. L'Italia nel panorama europeo (e persino mondiale) rappresenta un unicum, che le deriva dalla sua peculiare storia, risalente sia all'epoca antica che medievale. La nostra è infatti la terra in cui si è sviluppata e da cui si è irraggiata la civiltà romana (e attraverso di essa quella greco-ellenica), che si è estesa nel resto d'Europa e nell'area del bacino del Mediterraneo (Medioriente e nord Africa). Per la propria prosperità e sicurezza, Roma creò nel corso degli anni una rete di città in terra italica con funzione prettamente militare (Augusta Praetoria [Aosta], Augusta Taurinorum [Torino], Mediolanum [Milano], ecc.), con funzioni di controllo del territorio e di stanziamento di presidi militari lungo le principali vie e strade che la collegavano al resto dell'Orbe imperiale, spesso sviluppando le stesse su insediamenti preesistenti e più antichi (in pianura padana erano da tempo stanziate popolazioni gallo-celtiche). La fitta rete di questi municipi romani è sopravvissuta alla caduta e al trapasso dell'Impero d'Occidente (476 d.C.), e ha condizionato, nel bene (i Comuni, il Rinascimento) e nel male (la secolare divisione e contrapposizione tra queste Città-Stato, responsabile del ritardo del processo di unificazione nazionale), il prosieguo del cammino storico del nostro Paese, dando luogo a fenomeni altrettanto peculiari, quali la nascita dei Comuni e delle prime elaborate forme di mercantilismo e di capitalismo, lo sviluppo del Rinascimento (un unicum per certi versi simile a quanto accaduto durante i fasti della civiltà greca nell'età di Pericle), la trasformazione dei Comuni in Signorie, sovente in conflitto tra loro in maniera tale da rallentare quel processo di unificazione nazionale già da tempo in atto in gran parte del resto d'Europa (Francia, Inghilterra, Spagna). 
Ebbene ancora oggi, in un mondo completamente trasformato rispetto all'età antica (grazie all'accelerazione della storia conseguente alle scoperte scaturite dalla rivoluzione scientifica [XVI e XVII secolo] e poi esaltate dall'età dell'Illuminismo [XVIII secolo], del Positivismo [XIX secolo] e dalla rivoluzione industriale [XVIII secolo]), il lungo influsso delle vicende degli uomini, della vita materiale e della "lunga durata" (concetti profondi elaborati dal grande storico francese Fernand Braudel) prodotta dagli stessi, continua a condizionare la vita odierna e tutti i fenomeni ad essa connessa. Persino i possibili andamenti relativi ai contagi di un virus nuovo (che evoca alla memoria altri momenti drammatici, ciclicamente vissuti dalle popolazioni europee nel passato), da cui possiamo tracciare previsioni predittive, e perché no trarre degli utili insegnamenti in vista delle epidemie e delle minacce del futuro (una delle quali è proprio legata al rischio di ritorno legato ai virus sconosciuti intrappolati da milioni di anni fa nel permafrost e nei ghiacci in scioglimento), una volta che questa sarà passata.

lunedì 6 gennaio 2020

Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti

I tempi sono maturi per liberare il nostro tempo, sottraendolo al vincolo del lavoro (e alla logica capitalista della produzione e del consumo), affinché ognuno possa scegliere liberamente come reinvestirlo, se nello studio e nella propria crescita culturale, se in attività di volontariato o a favore della comunità, se da trascorrere di più con la propria famiglia o per seguire meglio i propri interessi. Lavorare meno e lavorare meglio, per lavorare tutti e per rendere la vita davvero degna di essere vissuta. Per sviluppare ogni aspetto della propria personalità senza vincoli anacronistici legati a logiche utilitaristiche tipiche dell'attuale paradigma di sviluppo, l'unico che il mondo globalizzato offre alle comunità umane.